LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                       Seconda Sezione Civile 
 
    Composta da: 
    Stefano Petitti - Presidente; 
    Guido Federico - consigliere; 
    Alberto Giusti - consigliere rel.; 
    Antonello Cosentino - consigliere; 
      Milena Falaschi - consigliere, 
    ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
proposto da: 
      Liberini Romeo, rappresentato e difeso  dagli  avvocati  Renato
Sirna, Elisa Bonzani,  Achille  Chiappetti  e  Giovanni  Arieta,  con
domicilio eletto in Roma, via Paolo Emilio, n. 7,  presso  lo  studio
dell'avvocato Achille Chiappetti; 
 
                                                       - ricorrente - 
    Contro Commissione nazionale per le societa' e la borsa - Consob,
in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e  difesa  dagli
avvocati Fabio Biagianti, Maria Letizia Ermetes e  Rocco  Vampa,  con
domicilio eletto  presso  la  propria  sede  in  Roma,  via  Giovanni
Battista Martini, n. 3; 
 
                                                 - controricorrente - 
    Avverso la sentenza della Corte d'appello di Brescia n.  214/2009
in data 17 febbraio 2009. 
    Udita la relazione della causa svolta nell'udienza  pubblica  del
14 settembre 2017 dal Consigliere Alberto Giusti; 
    Udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto procuratore
generale Lucio Capasso, che ha concluso per il  rigetto  del  ricorso
principale, assorbito il ricorso incidentale; 
    uditi gli Avvocati Giovanni  Arieta,  Achille  Chiappetti,  Fabio
Biagianti e Rocco Vampa. 
 
                              Premessa 
 
    1. - Il Collegio e' investito dell'esame di un  ricorso  proposto
contro una  sentenza  con  cui  la  Corte  d'appello  di  Brescia  ha
rigettato l'opposizione a  un  provvedimento  sanzionatorio  adottato
dalla Commissione nazionale per le societa' e la Borsa  -  Consob  in
fattispecie  di   abuso   di   informazioni   privilegiate   commesso
dall'insider secondario. 
    Con tale provvedimento sanzionatorio la Consob  ha  applicato  la
sanzione  amministrativa  pecuniaria  di  €  885.606,   la   sanzione
accessoria dell'interdizione dagli uffici direttivi per un periodo di
nove mesi nonche' la confisca per equivalente di beni  di  proprieta'
del trasgressore per un valore di € 6.182.919. 
    La violazione sanzionata e' stata commessa nell'anno 2002, quando
l'abuso  di   informazioni   privilegiate   dell'insider   secondario
costituiva reato  ai  sensi  dell'art.  180,  comma  2,  del  decreto
legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico  delle  disposizioni
in materia di intermediazione finanziaria - TUF). 
    La pena comminata per tale reato era la  reclusione  fino  a  due
anni e la multa da venti a seicento  milioni  di  lire.  Era  inoltre
prevista la confisca diretta dei mezzi, anche finanziari,  utilizzati
per commettere il reato e dei beni che ne costituiscono  il  profitto
(salvo che essi appartenessero a persona estranea al reato). 
    L'art. 9 della legge 18 aprile  2005,  n.  62  (Disposizioni  per
l'adempimento di  obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia
alle Comunita' europee - Legge  comunitaria  2004)  ha  depenalizzato
tale   condotta,   trasformandola   in    illecito    amministrativo;
contestualmente, riformulando l'art. 187-bis del TUF, ne ha  previsto
la punizione con una sanzione pecuniaria da euro ventimila a euro tre
milioni (sanzione poi quintuplicata  dall'art.  39,  comma  3,  della
legge 28 dicembre 2005, n. 262, recante «Disposizioni per  le  tutela
del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari»), nonche' - ove
non  sia  possibile  la  confisca  diretta  -  con  la  confisca  per
equivalente, disciplinata dall'art. 187-sexies del TUF. 
    In particolare, l'art. 9, comma 6, della stessa legge n.  62  del
2005 ha aggiunto che, limitatamente agli illeciti  depenalizzati,  la
confisca per equivalente si applica anche  alle  violazioni  commesse
anteriormente all'entrata in vigore  della  legge  n.  62  del  2005,
purche' il procedimento penale non sia stato definito. 
    2. - All'esito dell'udienza pubblica svoltasi il 5  giugno  2015,
questa Corte, con ordinanza 14 settembre 2015, n. 18026, ha sollevato
questione di legittimita' costituzionale degli artt.  187-sexies  del
decreto legislativo n. 58 del 1998, e 9, comma 6, della legge  n.  62
del 2005, in riferimento agli artt. 3,  25,  secondo  comma,  e  117,
primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 7
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali. 
    L'art. 187-sexies del decreto legislativo n. 58 del 1998 e l'art.
9, comma 6, della legge n. 62 del 2005  sono  stati  censurati  nella
parte in cui prevedono che la confisca  per  equivalente  si  applica
anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata  in
vigore della legge n. 62 del 2005, che le ha depenalizzate. 
    3. - La Corte costituzionale, con sentenza n.  68  del  2017,  ha
dichiarato inammissibile la questione di legittimita' costituzionale.
La Corte costituzionale ha ritenuto: 
      inammissibile la questione sollevata in riferimento all'art.  3
Cost., perche' priva di motivazione; 
      inammissibile la questione avente per oggetto l'art. 187-sexies
del decreto legislativo n. 58 del 1998, perche' tale disposizione non
ha la portata  lesiva  che  il  giudice  rimettente  le  attribuisce.
Infatti - ha sottolineato il giudice  delle  leggi  -  «la  norma  in
questione si limita  a  disciplinare  la  confisca  per  equivalente,
mentre e' soltanto all'art. 9, comma 6, della legge n.  62  del  2005
che va  attribuita  la  scelta  del  legislatore  di  rendere  questo
istituto di applicazione retroattiva, dando cosi' luogo al dubbio  di
costituzionalita' che ha animato il giudice a quo»; 
      inammissibile la questione di  costituzionalita'  dell'art.  9,
comma 6, della legge n. 62 del 2005, perche' basata  «su  un  erroneo
presupposto interpretativo», ossia «sulla base di una  considerazione
parziale della complessa vicenda normativa verificatasi nel  caso  di
specie». L'ordinanza di rimessione ha «omesso  di  tenere  conto  del
fatto che la natura penale, ai sensi  dell'art.  7  della  CEDU,  del
nuovo regime punitivo previsto per l'illecito amministrativo comporta
un inquadramento  della  fattispecie  nell'ambito  della  successione
delle  leggi  nel  tempo  e  demanda  al  rimettente  il  compito  di
verificare in concreto se il sopraggiunto trattamento  sanzionatorio,
assunto nel suo complesso e dunque  comprensivo  della  confisca  per
equivalente, si renda, in quanto di maggior  favore,  applicabile  al
fatto pregresso, ovvero se esso  in  concreto  denunci  un  carattere
maggiormente  afflittivo.  Soltanto  in  quest'ultimo  caso,  la  cui
verificazione spetta al  giudice  a  quo  accertare  e  adeguatamente
motivare,  potrebbe  venire  in  considerazione   un   dubbio   sulla
legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 6, della legge  n.  62
del  2005,  nella  parte   in   cui   tale   disposizione   prescrive
l'applicazione della confisca di valore e assoggetta pertanto il  reo
a una sanzione penale, ai sensi dell'art. 7 della CEDU,  in  concreto
piu' gravosa di quella che sarebbe applicabile  in  base  alla  legge
vigente all'epoca della commissione del fatto». 
    4. - Ripreso il processo e discussa la causa all'udienza  del  14
settembre 2017, con la presente ordinanza di rimessione la  Corte  di
cassazione propone, nell'ambito dello  stesso  giudizio  a  quo,  una
nuova  questione  di  legittimita'  costituzionale,  nei  termini  di
seguito precisati, limitandola all'art. 9, comma 6, della legge n. 62
del  2005,  reimpostando  il  petitum  e  integrando  la  motivazione
dell'ordinanza di  rinvio  si'  da  eliminare  i  vizi  e  le  lacune
riscontrati  dalla  Corte  costituzionale,  e  che  avevano  impedito
l'esame nel merito del dubbio sollevato. 
 
                   Descrizione dei fatti di causa 
 
    1. - In data  8  gennaio  2003  il  Presidente  della  Consob  ha
segnalato alla Procura della Repubblica di Milano il  presunto  reato
di abuso di informazioni privilegiate  -  di  cui  all'art.  180  del
decreto legislativo n. 58 del 1998 - per avere Emilio Gnutti, Ornella
Pozzi, Maurizia Gallia, Ennio  Barozzi,  Romeo  Liberini,  Antonietta
Comensoli e Osvaldo Savoldi acquistato obbligazioni UNIPOL  2000-2005
2,25% e UNIPOL 2000-2005 3,75%, nel corso dell'anno 2002. 
    Il Tribunale di Milano, con sentenza  n.  10597  del  19  ottobre
2005, ha prosciolto gli imputati (ad eccezione di Emilio  Gnutti)  in
ragione della  depenalizzazione  del  reato  contestato,  avvenuta  a
seguito dell'entrata in vigore della legge  n.  62  del  2005,  e  ha
trasmesso gli atti alla Consob. 
    La Consob, ritenuta  accertata  la  violazione  di  cui  all'art.
187-bis, comma 4, del decreto legislativo n. 58 del 1998,  dopo  aver
disposto a carico di Romeo Liberini la misura del sequestro  di  beni
di sua pertinenza, fino al raggiungimento del valore  equivalente  al
prodotto  dell'illecito,  ha  applicato  a  carico  del  medesimo  la
sanzione  amministrativa  pecuniaria  di  €  885.606,   la   sanzione
accessoria dell'interdizione dagli uffici direttivi per un periodo di
nove mesi ex art. 187-quater del decreto legislativo n. 58 del  1998,
nonche', ai sensi dell'art. 187-sexies dello stesso TUF, la  confisca
di beni di sua proprieta' per un valore di € 6.182.919. 
    2. - Romeo Liberini ha proposto opposizione  dinanzi  alla  Corte
d'appello di Brescia; la Consob si e'  costituita  e  ha  chiesto  il
rigetto dell'opposizione. 
    3. - Con sentenza depositata il 17 febbraio 2009,  l'adita  Corte
d'appello ha rigettato l'opposizione. 
    La Corte territoriale ha escluso che  la  depenalizzazione  abbia
portato  ad  un  aggravio  della  sanzione  applicata  al   Liberini,
rilevando che la nuova disciplina, conseguente alla riforma del 2005,
e' piu' favorevole rispetto alla  precedente,  giacche'  la  condotta
integra  un  illecito  amministrativo   punito   con   una   sanzione
amministrativa pecuniaria e non piu' un  delitto  per  il  quale  era
prevista anche la pena della  reclusione.  La  Corte  di  Brescia  ha
altresi' escluso  l'incostituzionalita'  della  retroattivita'  della
confisca per equivalente, e cio' data la sua natura amministrativa. I
principi di legalita' e  di  irretroattivita'  -  hanno  affermato  i
giudici  di  appello  -  sono  oggetto  di  copertura  costituzionale
soltanto per  la  materia  penale,  sicche'  il  legislatore,  quanto
all'illecito depenalizzato di abuso di informazioni privilegiate, ben
puo' prevedere lo strumento della confisca per equivalente anche  per
i comportamenti precedenti alla entrata in vigore della legge  n.  62
del 2005, non configurandosi in tal  modo  nessuna  violazione  della
legge 24 novembre 1981, n. 689. 
    4. - Per la cassazione della sentenza della  Corte  d'appello  il
Liberini ha proposto ricorso, affidato a nove motivi. 
    La Consob ha resistito con  controricorso  e,  a  sua  volta,  ha
proposto ricorso incidentale condizionato, affidato a tre motivi. 
    Il  ricorrente  principale  ha  resistito  con  controricorso  al
ricorso incidentale. 
    5. -  Con  il  primo  motivo  di  ricorso  il  Liberini  denuncia
violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 5 e 11 della legge  n.
689 del 1981, e 187-bis, comma 5, del decreto legislativo n.  58  del
1998, cosi' come introdotto dall'art. 9 della legge n. 62  del  2005.
Nel ritenere legittima la sanzione pecuniaria applicata dalla Consob,
la  Corte  d'appello  avrebbe  addebitato  a  ciascun  incolpato   la
complessiva  operazione  di  acquisto   delle   obbligazioni,   cosi'
prescindendo dal piano  individuale  di  valutazione  della  gravita'
della condotta e dell'elemento soggettivo, apprezzando  una  gravita'
d'insieme   della   condotta   in   spregio   al   principio    della
responsabilita'  personale  e  della  rilevanza  della   personalita'
dell'agente  e  delle  sue  condizioni  economiche  ai   fini   della
determinazione della sanzione. 
    Con il secondo motivo il Liberini  denuncia  violazione  e  falsa
applicazione dell'art. 187-bis del  decreto  legislativo  n.  58  del
1998, in relazione agli artt. 3, 5 e 12 della legge n. 689 del  1981,
nonche' omessa e contraddittoria motivazione. La censura si riferisce
alla dichiarata sussistenza, da parte della Corte  d'appello,  di  un
concorso di persone nel medesimo illecito, pur se nella ricostruzione
della  vicenda  la  stessa  Corte  ha  rilevato   che   le   condotte
significative erano  state  poste  in  essere  prevalentemente  dalla
Gallia (assistente dello Gnutti). In sostanza, la Corte d'appello  si
sarebbe limitata a indagare in ordine alla unitarieta'  del  contesto
temporale e spaziale nel quale maturarono gli eventi, desumendone  la
sostanziale riferibilita' della  condotta  ad  un  unico  agente,  ma
imputando l'illecito a piu' persone in asserito concorso tra loro. 
    Con il terzo motivo  il  ricorrente  deduce  violazione  e  falsa
applicazione degli artt. 117 e 97 Cost. con riguardo  alla  direttiva
2003/6/CE del Parlamento europeo e del  Consiglio;  solleva  altresi'
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  187-bis   del
decreto legislativo n. 58 del 1998, per violazione degli artt. 117  e
97 Cost.,  in  relazione  alla  direttiva  2003/6/CE  del  Parlamento
europeo e del Consiglio, con relativa  istanza  di  rimessione  della
questione  alla   Corte   costituzionale,   nonche'   contraddittoria
motivazione sul punto. Il ricorrente si duole del fatto che la  Corte
d'appello  abbia  ritenuto  «congrua  e  adeguata»  la  misura  della
sanzione pecuniaria irrogata dalla Consob in suo  danno,  e  sostiene
che  vi  sarebbe  stata  la  violazione  dei  principi  del   diritto
comunitario, vincolanti per il giudice nazionale ex art.  117,  primo
comma, Cost. In particolare, il ricorrente rileva che nel  mentre  la
citata direttiva prescrive che  le  sanzioni  siano  sufficientemente
dissuasive e  che  a  tal  fine  debbano  essere  proporzionate  alla
gravita'  della  violazione  e  agli  utili  realizzati  e  applicate
coerentemente (considerando n. 38), e tiene distinte  le  ipotesi  in
cui la provenienza dell'informazione sia legata a una professione o a
una funzione e quella in cui la fonte sia connessa  allo  svolgimento
di attivita' criminali (considerando n. 17) ovvero  ancora  l'ipotesi
in cui l'abuso delle informazioni venga effettuato sapendo o  dovendo
sapere del loro  carattere  privilegiato  (considerando  n.  18),  il
legislatore  nazionale  avrebbe  accomunato  nell'unico   trattamento
sanzionatorio piu' condotte di  abuso  di  informazioni  privilegiate
diverse tra loro. L'art. 187-bis del TUF -  rileva  il  ricorrente  -
prevede la medesima sanzione edittale  per  l'insider  primario,  per
l'insider in grado di operare a seguito di attivita' delittuose,  per
gli insider secondari che agiscono con la consapevolezza della natura
privilegiata della informazione della  quale  dispongono  e  per  gli
insider secondari che agiscono con colpa, dovendo conoscere  in  base
all'ordinaria diligenza il carattere privilegiato della informazione.
Inoltre, a tutte le categorie considerate viene applicato  lo  stesso
regime di aggravamento della sanzione (comma 5). 
    Con il quarto mezzo il  ricorrente  lamenta  violazione  e  falsa
applicazione dell'art. 187-sexies, comma 2, del  decreto  legislativo
n. 58 del 1998, per avere la Corte d'appello disatteso  il  principio
tempus regit  actum,  avendo  applicato  retroattivamente  l'istituto
della confisca per equivalente di cui  all'art.  9,  comma  6,  della
legge n. 62 del 2005, vale a dire una normativa meno  favorevole  per
l'autore della condotta rispetto a quella vigente  al  momento  della
commissione del fatto. 
    Il quinto motivo riguarda  la  violazione  e  falsa  applicazione
degli artt. 187-sexies, comma 2, del decreto legislativo  n.  58  del
1998, e dell'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del  2005,  anche  in
relazione agli artt. 3 e 25 Cost. Con esso  il  ricorrente  eccepisce
l'illegittimita' costituzionale del combinato  disposto  degli  artt.
187-sexies, comma 2, del TUF e dell'art. 9, comma 6, della  legge  n.
62 del 2005, in relazione agli artt. 3 e  25  Cost.  e  all'art.  117
Cost., per violazione dell'art. 7 della CEDU. Secondo il  ricorrente,
la  confisca  per  equivalente  difetterebbe   della   finalita'   di
prevenzione tipica delle  misure  di  sicurezza,  essendo  diretta  a
privare  il  reo  di  qualsiasi  beneficio  economico  derivante  dal
comportamento  criminoso,  aggredendo  anche  beni   manchevoli   del
carattere della  pericolosita'  e  della  pertinenza  con  l'illecito
stesso. 
    Con il sesto motivo  il  ricorrente  deduce  violazione  e  falsa
applicazione degli artt. 187-octies, comma 3, lett.  d),  del  TUF  e
dell'art. 9, comma 6,  della  legge  n.  62  del  2005,  prospettando
l'illegittimita' costituzionale del combinato disposto degli articoli
ora  richiamati,  in  relazione  agli  artt.  3,  25  e  117   Cost.,
quest'ultimo come conseguenza della violazione dell'art. 7 CEDU,  con
relativa  istanza  di  rimessione  alla  Corte   costituzionale.   La
complessiva doglianza si riferisce alla natura di  «misura  penale  a
carattere preventivo» del sequestro  dei  beni  che  possono  formare
oggetto di confisca ex art. 187-sexies del TUF,  con  la  conseguente
illegittimita' della applicazione retroattiva dell'istituto,  nonche'
all'incompetenza dell'Ufficio di  Procura  della  Repubblica  che  ha
disposto l'autorizzazione del sequestro per equivalente. 
    Con il settimo motivo di ricorso il Liberini deduce violazione  e
falsa applicazione dell'art.  1  della  legge  n.  689  del  1981  ed
eccepisce l'illegittimita'  costituzionale  degli  artt.  187-sexies,
comma 2, del decreto legislativo n. 58 del 1998, e 9, comma 6,  della
legge n. 62 del 2005, per violazione dell'art. 3 Cost. e dei principi
di  ragionevolezza,  legalita'  e  irretroattivita'  delle   sanzioni
amministrative ex art. 1 della legge n. 689 del 1981. 
    L'ottavo  mezzo  concerne  la  denuncia  di  violazione  e  falsa
applicazione degli artt. 187-bis, comma 5, e 187-sexies, comma 2, del
decreto legislativo n. 58 del 1998, anche in  relazione  ai  principi
sanciti nella  direttiva  2003/6/CE  del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio. Con esso viene  eccepita  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 187-sexies del decreto legislativo n. 58 del 1998, anche in
combinato  disposto  con  l'art.   187-bis   dello   stesso   decreto
legislativo, per violazione dell'art. 117 Cost. 
    Con il nono motivo di ricorso il Liberini denuncia  violazione  e
falsa applicazione dell'art. 187-bis del decreto  legislativo  n.  58
del 1998, anche in combinato disposto con l'art. 187-sexies, comma 2,
TUF,  in  relazione  all'art.  14  della  direttiva   2003/6/CE   del
Parlamento europeo e del Consiglio; solleva questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 187-sexies del decreto legislativo n. 58 del
1998, anche in combinato disposto con il  citato  art.  187-bis,  per
violazione degli artt. 117, 3 e 97 Cost. A conclusione del motivo  il
ricorrente  formula  il  quesito  di   diritto   se,   in   sede   di
determinazione della sanzione dell'illecito di abuso di  informazioni
privilegiate, di cui all'art. 187-bis del testo unico della  finanza,
l'autorita' irrogante  debba  attenersi  -  alla  stregua  di  quanto
disposto dall'art. 14 della direttiva 2003/6/CE - anche  al  rispetto
del  criterio  della  proporzionalita'  delle  sanzioni  in  concreto
applicate, e se queste ultime debbano intendersi  come  il  complesso
delle penalita' amministrative irrogate all'insider, ivi compresa  la
misura della confisca per equivalente. 
    6. - Il ricorso incidentale condizionato della Consob e' affidato
a tre motivi. 
    Con il primo motivo, la Consob censura nullita' della sentenza  e
del procedimento per violazione e falsa applicazione degli artt. 22 e
23 della legge n. 689 del 1981 e dell'art.  187-septies  del  decreto
legislativo n. 58 del  1998,  nonche'  violazione  del  principio  di
corrispondenza tra chiesto e pronunciato. 
    Con il secondo motivo, la  Consob  denuncia  violazione  e  falsa
applicazione degli artt. 19, 20, 22 e 23 della legge n. 689 del 1981,
100 cod. proc. civ., 187-sexies, 187-septies e 187-octies del decreto
legislativo n. 58 del 1998, nonche' violazione dei principi  generali
in tema di interesse ad agire, legitimatio ad processum  e  principio
della domanda, criticando la  sentenza  nel  capo  in  cui  la  Corte
d'appello  ha  esaminato  il  motivo  di  opposizione   relativo   al
sequestro, pur reputandolo infondato in relazione a ciascuna  censura
sollevata da parte ricorrente. 
    Con il terzo motivo di ricorso incidentale,  la  Consob  denuncia
altra violazione e falsa applicazione degli artt. 19,  20,  22  e  23
della legge n.  689  del  1981,  100  cod.  proc.  civ.,  187-sexies,
187-septies e 187-octies del decreto  legislativo  n.  58  del  1998,
nonche' violazione dei principi generali  in  tema  di  interesse  ad
agire, legitimatio ad processum e principio della domanda, sostenendo
l'inammissibilita' del motivo inerente al sequestro sotto il  diverso
profilo della carenza di interesse, per il Liberini, nel formulare un
motivo di opposizione avente ad oggetto vizi  propri  del  sequestro,
non idonei a confutare il successivo potere, riservato  alla  Consob,
di emanare il provvedimento di confisca. 
 
                         Ritenuto in diritto 
 
    1. - Con il provvedimento sanzionatorio adottato dalla Consob  e'
stata applicata, oltre alla sanzione amministrativa pecuniaria  di  €
885.606 e alla sanzione  accessoria  dell'interdizione  dagli  uffici
direttivi per un periodo di nove mesi, la misura della  confisca  per
equivalente di beni di proprieta' del trasgressore per un valore di €
6.182.919, giudicata legittima dalla Corte d'appello. 
    Tra i motivi di ricorso per cassazione vi  e'  la  illegittimita'
dell'applicazione  della  misura  della  confisca  per   equivalente,
introdotta dalla legge n. 62 del 2005, perche'  i  fatti  sono  stati
commessi in epoca anteriore all'entrata in vigore di tale legge. 
    La premessa da cui muove il ricorrente e'  che  la  confisca  per
equivalente abbia natura, non di misura di  sicurezza  con  finalita'
preventive, ma di misura con connotati  sostanzialmente  sanzionatori
afflittivi, sicche' la stessa non potrebbe  trovare  applicazione  se
non con riguardo a illeciti amministrativi commessi dopo  la  entrata
in  vigore  della  legge  n.  62  del  2005;  essa   sarebbe   quindi
inapplicabile nel caso di  specie,  in  quanto  i  fatti  di  insider
trading contestati sono stati commessi nel 2002. 
    2.  -  Il  Collegio  esclude  di  poter  giungere  gia'  in   via
interpretativa  a  dichiarare  l'illegittimita'  della  misura  della
confisca. 
    Infatti,  la  pretesa  del  ricorrente  di   affermare   la   non
applicabilita', nel caso di specie, della confisca per equivalente di
cui  all'art.  187-sexies  del  TUF,  trova  un  ostacolo   letterale
insuperabile nella disposizione di cui all'art.  9,  comma  6,  della
legge n. 62 del 2005, il quale prevede espressamente l'applicabilita'
delle disposizioni della parte  V,  titolo  I-bis,  del  testo  unico
approvato con il decreto legislativo  n.  58  del  1998  «anche  alle
violazioni commesse anteriormente alla  data  di  entrata  in  vigore
della legge che le ha depenalizzate, quando il relativo  procedimento
penale non sia stato definito». 
    3. - Ritiene questo giudice a quo  che  nondimeno  si  ponga,  in
riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, 117, primo comma, Cost.,
quest'ultimo in  relazione  all'art.  7  della  CEDU,  un  dubbio  di
legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 6, della legge  n.  62
del 2005, nella parte in cui prevede che la confisca per equivalente,
disciplinata dall'art. 187-sexies del TUF, si applica,  allorche'  il
procedimento penale non sia stato  definito,  anche  alle  violazioni
commesse anteriormente alla data di entrata in  vigore  della  stessa
legge  n.  62  del  2005  -  che  le  ha  depenalizzate  introducendo
l'autonomo  illecito  amministrativo   di   abuso   di   informazioni
privilegiate, configurato ora dall'art. 187-bis del TUF -, e cio' pur
quando il complessivo trattamento sanzionatorio  generato  attraverso
la  depenalizzazione  sia  in  concreto  meno  favorevole  di  quello
applicabile in base alla legge vigente al momento  della  commissione
del fatto. 
    4.  -  Occorre  premettere  che  la  misura  della  confisca  per
equivalente in questione ha un contenuto sostanzialmente  afflittivo,
che eccede la finalita' di  prevenire  la  commissione  di  illeciti,
perche' non colpisce  beni  in  «rapporto  di  pertinenzialita'»  con
l'illecito. 
    La giurisprudenza delle Sezioni penali di questa Corte e' univoca
in tal senso con  riferimento  alle  disposizioni  che  prevedono  la
confisca per equivalente quale misura  applicabile  a  seguito  della
commissione di specifici  reati  per  i  quali  la  detta  misura  e'
espressamente prevista. Cass. pen., Sez. II, n.  31988  del  2006  ha
cosi' affermato che, nel caso in cui il delitto di  truffa  aggravata
per il conseguimento di erogazioni pubbliche sia costituito  da  piu'
violazioni commesse prima e dopo l'entrata in vigore della legge  che
ha  previsto  per  detto  reato  l'applicazione  della  confisca  per
equivalente,  questa  misura  puo'   riguardare   esclusivamente   le
violazioni commesse successivamente all'entrata in vigore della legge
stessa. In questa medesima direzione, Cass. pen., Sez. U.,  n.  18374
del 2013 ha affermato che la confisca per equivalente, introdotta per
i reati tributari dall'art. 1, comma 143,  della  legge  n.  244  del
2007, ha natura eminentemente sanzionatoria e,  quindi,  non  essendo
estensibile ad essa la regola dettata  per  le  misure  di  sicurezza
dall'art.  200  cod.  pen.,  non  si  applica   ai   reati   commessi
anteriormente all'entrata in vigore della legge citata. 
    Soprattutto, e' la giurisprudenza della  Corte  costituzionale  a
riconoscere la natura prevalentemente afflittiva e  sanzionatoria  di
questa peculiare forma di confisca. Le ordinanze n. 97 del 2009 e  n.
301 del 2009 hanno infatti affermato che la confisca per  equivalente
prevista  dall'art.  322-ter  cod.  pen.  non   puo'   avere   natura
retroattiva, perche' - «in ragione della  mancanza  di  pericolosita'
dei beni che ne costituiscono oggetto, unitamente all'assenza  di  un
'rapporto di pertinenzialita' (inteso come nesso diretto,  attuale  e
strumentale) tra il reato ed  i  beni»  -  da'  luogo  a  una  misura
«'eminentemente sanzionatoria', tale da impedire  l'applicabilita'  a
tale misura patrimoniale del principio generale della  retroattivita'
delle misure di sicurezza, sancito dall'art. 200 cod. pen.». E -  con
specifico  riferimento  alla  confisca   per   equivalente   prevista
dall'art. 187-sexies del TUF - la sentenza n. 68  del  2017  ha  gia'
statuito che «[e]ssa si applica a beni  che  non  sono  collegati  al
reato da un  nesso  diretto,  attuale  e  strumentale,  cosicche'  la
privazione imposta al reo risponde  ad  una  finalita'  di  carattere
punitivo, e non preventivo», precisando che «lo stesso legislatore si
mostra consapevole del tratto afflittivo  e  punitivo  proprio  della
confisca  per  equivalente,   al   punto   da   non   prevederne   la
retroattivita' per i fatti che continuano a  costituire  reato  (art.
187 del decreto legislativo n. 58 del 1998)». 
    4.1. -  La  soluzione,  ad  avviso  del  Collegio,  non  muta  in
considerazione  del  fatto  che,  nella  specie,  la   confisca   per
equivalente e' prevista quale sanzione  accessoria  per  un  illecito
amministrativo. 
    Infatti, alla confisca per equivalente  prevista  per  l'illecito
amministrativo di abuso  di  informazioni  privilegiate  deve  essere
assegnata natura penale ai sensi dell'art. 7 della  CEDU,  in  quanto
essa svolge «con tratti di significativa afflittivita'  una  funzione
punitiva» (Corte cost., sentenza n. 68 del 2017). 
    Del  resto,  le  nozioni  di  sanzione  penale  e   di   sanzione
amministrativa non possono essere desunte, semplicemente,  dal  nomen
iuris utilizzato  da  legislatore,  ne'  dall'autorita'  chiamata  ad
applicarla, ma devono essere  ricavate,  in  concreto,  tenuto  conto
delle finalita' e della portata del precetto sanzionatorio  di  volta
in volta contemplato. La preoccupazione di evitare che singole scelte
compiute  da  taluni   degli   Stati   aderenti   alla   Convenzione,
nell'escludere che un determinato  illecito  ovvero  una  determinata
sanzione  restrittiva   appartengano   all'ambito   penale,   possano
determinare un surrettizio aggiramento delle garanzie individuali che
la CEDU riserva alla materia  penale,  e'  alla  base  dell'indirizzo
interpretativo che, fin dalle sentenze 8 giugno 1976, Engel c.  Paesi
Bassi, e 21 febbraio 1984, Öztürk  contro  Germania,  ha  portato  la
Corte di Strasburgo all'elaborazione di propri criteri, in aggiunta a
quello della qualificazione giuridico-formale attribuita nel  diritto
nazionale, al fine di  stabilire  la  natura  penale  o  meno  di  un
illecito  e  della  relativa  sanzione.  Tali  criteri   sono   stati
individuati nella rilevante severita'  della  sanzione,  nell'elevato
importo di questa  inflitto  in  concreto  e  comunque  astrattamente
irrogabile,  nelle  complessive  ripercussioni  sugli  interessi  del
condannato, nella finalita' sicuramente repressiva. 
    E, proprio in applicazione  di  quei  criteri,  la  stessa  Corte
europea (sentenza  307A/1995,  Welch  c.  Regno  Unito)  ha  ritenuto
assistita dalla garanzia dell'art. 7 della Convenzione l'applicazione
di una confisca  di  beni  riconducibile  proprio  ad  un'ipotesi  di
confisca per equivalente; e (sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens c.
Italia) ha riconosciuto carattere penale alle  sanzioni  per  insider
trading qualificate dal nostro diritto interno come amministrative. 
    Va inoltre ricordato che la Corte costituzionale, con riferimento
all'applicazione retroattiva di disposizioni che introducono sanzioni
amministrative, ha richiamato, con la sentenza n. 104  del  2014,  il
principio, gia' enunciato dalla sentenza n. 196 del 2010, secondo  il
quale tutte le misure di carattere punitivo-afflittivo devono  essere
soggette alla medesima disciplina  della  sanzione  penale  in  senso
stretto. Si tratta di un principio di derivazione  convenzionale,  ma
desumibile anche dall'art. 25,  secondo  comma,  Cost.:  infatti,  il
precetto costituzionale - data l'ampiezza della  sua  formulazione  -
«puo'   essere   interpretato   nel   senso   che   ogni   intervento
sanzionatorio, il quale non  abbia  prevalentemente  la  funzione  di
prevenzione criminale (e quindi non  sia  riconducibile  -  in  senso
stretto - a vere e  proprie  misure  di  sicurezza),  e'  applicabile
soltanto se la legge che lo prevede risulti gia' vigente  al  momento
della commissione del fatto sanzionato» (sempre sentenze n.  196  del
2010 e n. 104 del 2014). 
    Deve  inoltre  aggiungersi  che,  come  ha  chiarito   la   Corte
costituzionale (sentenze n. 49 del 2015, n. 68 del 2017 e n. 109  del
2017), le sanzioni che il legislatore costruisce come  amministrative
restano tali nel nostro ordinamento, ma sono ulteriormente  assistite
dalle garanzie previste dall'art. 7 della CEDU ove abbiano  carattere
sostanzialmente penale alla luce  della  Convenzione.  L'adozione  di
criteri sostanziali  per  la  definizione  della  materia  penale  e'
funzionale ad una piu' ampia garanzia dell'individuo: essa  si  muove
infatti «nel segno dell'incremento delle liberta' individuali, e  mai
del loro detrimento (...), come invece potrebbe accadere nel caso  di
un definitivo assorbimento dell'illecito amministrativo nell'area  di
cio' che e' penalmente rilevante» (sentenza n. 68 del 2017). 
    5.  -  Ad  avviso   del   Collegio,   e'   l'intero   trattamento
sanzionatorio  introdotto  dalla  legge   di   depenalizzazione   per
l'illecito amministrativo di abuso di  informazioni  privilegiate  di
cui al nuovo art. 187-bis del TUF a rivestire natura  sostanzialmente
penale, integrando esso i caratteri di afflittivita' delineati  dalla
giurisprudenza  della  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,  dato
l'elevato importo della sanzione prevista. 
    6. - Ritiene questo giudice a quo che la confisca per equivalente
sia  legittimamente  applicabile  ai  fatti  pregressi  di  abuso  di
informazioni   privilegiate,   senza   dar   luogo   a    dubbi    di
costituzionalita', solo quando il nuovo trattamento sanzionatorio per
l'illecito   depenalizzato,    complessivamente    e    unitariamente
considerato, possa  ritenersi  non  peggiorativo  rispetto  a  quello
precedentemente previsto. 
    Invero,  come  ha  chiarito  la  Corte  costituzionale   con   la
richiamata  sentenza  n.  68  del  2017,  «il  passaggio  dal   reato
all'illecito  amministrativo,  quando  quest'ultimo  conserva  natura
penale   ai   sensi   dell'art.   7   della   Convenzione,   permette
l'applicazione retroattiva del nuovo regime punitivo soltanto  se  e'
piu' mite di quello precedente. In tal caso, infatti, e solo  in  tal
caso, nell'applicazione di una pena sopravvenuta, ma in concreto piu'
favorevole,  non  si  annida  alcuna  violazione   del   divieto   di
retroattivita', ma una scelta in favore del reo». Non  in  ogni  caso
e', quindi, costituzionalmente vietato applicare retroattivamente  la
confisca  per   equivalente.   «Infatti,   qualora   il   complessivo
trattamento sanzionatorio generato  attraverso  la  depenalizzazione,
nonostante la previsione di tale confisca,  fosse  in  concreto  piu'
favorevole di quello applicabile in base  alla  pena  precedentemente
comminata, non vi sarebbero ostacoli costituzionali a  che  esso  sia
integralmente disposto». 
    6.1. - Il dubbio di legittimita'  costituzionale  risiede  invece
nella previsione  di  applicabilita'  -  assoluta,  incondizionata  e
inderogabile  -della  confisca  per   equivalente,   quand'anche   il
complessivo risultato sanzionatorio risultante dalla riforma  sia  in
concreto meno favorevole per il trasgressore rispetto  a  quello  che
sarebbe applicabile  in  base  alla  legge  vigente  all'epoca  della
commissione del fatto. 
    7.  -  Al  fine  di  stabilire  quale  sia  il  trattamento  piu'
favorevole in tema di successione di leggi incriminatrici nel  tempo,
la giurisprudenza penale di questa  Corte  ha  enunciato  i  seguenti
principi: 
      la disposizione piu' favorevole deve essere individuata tenendo
conto della disciplina nel suo complesso e non di singoli e specifici
aspetti della stessa (Cass. pen., Sez. III,  sentenza  n.  14198  del
2016); 
      deve aversi riguardo al complessivo  trattamento  sanzionatorio
scaturente dall'applicazione della legge  preesistente  o  di  quella
sopravvenuta senza che si possa procedere ad una  combinazione  delle
disposizioni piu'  favorevoli  della  nuova  legge  con  quelle  piu'
favorevoli della vecchia, in quanto cio' comporterebbe  la  creazione
di una terza legge, diversa sia da quella abrogata, sia da quella  in
vigore, occorrendo invece applicare integralmente  quella  delle  due
che, nel suo complesso, risulti, in relazione alla  vicenda  concreta
oggetto di giudizio, piu' vantaggiosa per il reo  (Cass.  pen.,  Sez.
III, n. 23274 del 2004); 
      l'individuazione del regime di maggior favore  per  il  reo  ai
sensi  dell'art.  2  cod.  pen.  deve  essere  operata  in  concreto,
comparando le diverse discipline sostanziali  succedutesi  nel  tempo
(Cass. pen., Sez. IV, n. 49754 del 2014). 
    7.1. - Va precisato che il principio  dell'efficacia  retroattiva
della norma sopravvenuta piu' favorevole implica che, qualora  questa
sia in concreto meno  favorevole,  debba  applicarsi  la  precedente,
ancorche' non piu' in vigore. 
    Cio' non puo' accadere nel caso della  depenalizzazione,  perche'
all'autorita'  amministrativa  non  e'  consentito  in   alcun   modo
applicare la sanzione penale, anche se  in  ipotesi  piu'  favorevole
rispetto a quella amministrativa (sostanzialmente penale). 
    Inoltre,  il  giudice  penale,  in  presenza  di  un'ipotesi   di
successione  di  leggi  penali  nel  tempo,  nell'individuare   quale
trattamento in concreto si  presenti  piu'  favorevole,  deve  tenere
conto di tutti gli istituti  propri  del  diritto  penale,  quali  la
sospensione  condizionale  della  pena,  la  conversione  della  pena
detentiva in pena pecuniaria, l'indulto, la prescrizione del reato. 
    Nel  caso  in  esame,  pertanto,  il  confronto  tra  le  diverse
discipline non puo' che assumere un carattere peculiare,  trattandosi
di  ordinamenti  sanzionatori  diversi,  l'uno   penale   e   l'altro
amministrativo, che possono essere  posti  sullo  stesso  piano  solo
perche' il secondo va considerato sostanzialmente penale alla stregua
della convenzione EDU. 
    7.2. - Ora, ponendo a raffronto  i  due  quadri  sanzionatori  in
successione, emerge quanto segue. 
    Il complessivo trattamento sanzionatorio per il delitto di  abuso
di informazioni privilegiate, previsto al momento  della  commissione
del fatto dall'art. 180 del decreto legislativo n. 58 del  1998,  era
della reclusione fino a due anni, congiunta con la multa da  venti  a
seicento milioni di lire, cui doveva aggiungersi la confisca soltanto
in forma diretta. 
    La condanna,  inoltre,  ai  sensi  ai  sensi  dell'art.  182  del
medesimo  decreto  legislativo  n.  58  del  1998  (allora  vigente),
comportava sempre l'applicazione delle pene accessorie previste dagli
articoli 28, 30, 32-bis  e  32-ter  cod.  pen.  per  una  durata  non
inferiore a  sei  mesi  e  non  superiore  a  due  anni,  nonche'  la
pubblicazione della sentenza su almeno due  quotidiani,  di  cui  uno
economico, a diffusione nazionale. 
    Era  prevista,  inoltre,  la  possibilita'  per  il  giudice   di
aumentare  la  multa  fino  al  triplo  quando,  per   la   rilevante
offensivita'  del  fatto,  le  qualita'  personali  del  colpevole  o
l'entita' del profitto che ne era derivato, essa appariva  inadeguata
anche se applicata nel massimo. 
    Il trattamento sanzionatorio di cui all'art. 9 della legge n.  62
del 2005 consiste, invece, nella sanzione  amministrativa  pecuniaria
da euro ventimila a euro tre milioni  di  cui  all'art.  187-bis  del
decreto legislativo  n.  58  del  1998  (non  potendosi  tener  conto
dell'ulteriore modifica apportata dall'art. 39, comma 3, della  legge
n. 262 del 2005 che ha quintuplicato la sanzione). 
    Anche in questo caso il comma 5 del citato art.  187-bis  prevede
che le sanzioni possano essere aumentate fino al  triplo  o  fino  al
maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto  conseguito
dall'illecito quando, per le qualita' personali del colpevole  ovvero
per l'entita' del prodotto o del profitto  conseguito  dall'illecito,
esse appaiono inadeguate anche se applicate nel massimo. 
    Inoltre ai sensi dell'art. 187-quater del decreto legislativo  n.
58 del 1998 sono previste le sanzioni amministrative accessorie della
perdita temporanea dei requisiti di onorabilita'  per  gli  esponenti
aziendali ed i partecipanti al capitale dei soggetti abilitati, delle
societa' di  gestione  del  mercato,  nonche'  per  i  revisori  e  i
promotori finanziari e,  per  gli  esponenti  aziendali  di  societa'
quotate,  dell'incapacita'  temporanea  ad  assumere   incarichi   di
amministrazione,  direzione  e  controllo  nell'ambito  di   societa'
quotate e di societa' appartenenti al  medesimo  gruppo  di  societa'
quotate per una durata non inferiore a due mesi e non superiore a tre
anni. 
    Infine, ai sensi del  successivo  art.  187-sexies,  e'  prevista
l'ulteriore sanzione accessoria della confisca  del  prodotto  o  del
profitto dell'illecito e  dei  beni  utilizzati  per  commetterlo  e,
qualora non sia possibile eseguire  tale  confisca,  la  stessa  puo'
avere ad oggetto somme di denaro, beni o  altre  utilita'  di  valore
equivalente. 
    7.3. - Nei fenomeni di depenalizzazione  finora  non  si  e'  mai
posto il problema dell'applicabilita' del principio di retroattivita'
della norma piu' favorevole: essendosi, da un lato,  sempre  ritenuto
che tale principio non trovi applicazione nel  campo  delle  sanzioni
amministrative, ai sensi dell'art. 1 della legge n. 689 del  1981,  e
presumendosi,   dall'altro,   che   il   trattamento    sanzionatorio
successivo, per la sua stessa natura amministrativa,  sia  sempre  da
considerare piu' favorevole  rispetto  a  quello  precedente,  avente
natura penale. 
    Anche in questo caso, con l'art. 9, comma 6, della  legge  n.  62
del 2005, il legislatore ordinario muove  dalla  presunzione  che  la
sanzione amministrativa sia sempre piu' favorevole di quella  penale,
perche'  soltanto  quest'ultima  ha  un  contenuto  stigmatizzante  e
normalmente ha o puo' avere un'incidenza sulla liberta' personale. 
    Ma si tratta di una postulato che non e' esatto  in  assoluto,  e
che non lo e' nell'ipotesi all'esame del Collegio rimettente. 
    L'affermazione secondo la quale la  pena  detentiva  deve  sempre
considerarsi come piu' gravosa rispetto  a  quella  pecuniaria  trova
significative eccezioni nei casi in cui la stessa pena detentiva  non
possa  essere  eseguita  per  effetto  dell'applicazione   di   altri
istituti, come, ad esempio, la sospensione condizionale della pena ex
art. 163 e ss. cod. pen. Secondo la giurisprudenza di  questa  Corte,
infatti, in tema di successione di  leggi  penali,  con  riguardo  ai
reati attribuiti alla competenza del giudice di pace (nella specie si
trattava del delitto di lesioni), non puo' applicarsi il  trattamento
sanzionatorio previsto dall'art. 52 del decreto  legislativo  n.  274
del 2000, ancorche' in linea di principio  piu'  favorevole,  qualora
sia stata concessa la sospensione condizionale della pena, in  quanto
il successivo art. 60, escludendo esplicitamente la  concessione  del
beneficio della pena sospesa, rende in concreto le nuove disposizioni
meno favorevoli all'imputato (Cass. pen., Sez. V, n. 7215  del  2006;
Cass. pen., Sez. V, n. 46793 del 2004). 
    7.4. - Deve precisarsi che, nella specie, non emerge  dagli  atti
l'esistenza di situazioni impeditive della concessione, in favore del
ricorrente, della sospensione condizionale della pena. 
    Dunque, nei suoi confronti, la pena  detentiva  di  due  anni  di
reclusione era ragionevolmente destinata a rimanere  condizionalmente
sospesa, e quindi non eseguita, o, qualora fosse rimasta  nel  limite
di sei mesi, ad essere convertita in pena pecuniaria  in  una  misura
estremamente  ridotta  (secondo  il  criterio  di  ragguaglio  allora
vigente). 
    Inoltre il ricorrente avrebbe potuto beneficiare dell'indulto  di
cui alla legge n. 241 del 2006. 
    Tutto cio' premesso, dal punto di vista  del  ricorrente,  se  si
guarda alla reale carica di afflittivita' della sanzione, e'  agevole
rendersi conto che questi si e' visto sottratta  la  possibilita'  di
usufruire del beneficio della  sospensione  condizionale  della  pena
(che si estende anche alle pene accessorie), della conversione  della
pena detentiva in pena pecuniaria (che avrebbe portato ad  una  multa
inferiore perfino rispetto a quella inflittagli con la sola  sanzione
amministrativa pecuniaria applicata in via  principale,  senza  tener
conto  della  ulteriore  sanzione  accessoria  della   confisca   per
equivalente),  e  dell'indulto;  soprattutto,  alla  fattispecie  non
sarebbe stata applicabile la sanzione accessoria della  confisca  per
equivalente ex art. 186-sexies del TUF. 
    Nei suoi confronti, dunque, l'applicazione della sanzione  penale
in concreto sarebbe stata  piu'  favorevole  rispetto  alla  sanzione
pecuniaria amministrativa irrogata, oggetto di certa riscossione,  di
ammontare  massimo  notevolmente  superiore  e,  si  ribadisce,   con
l'aggiunta di una sanzione accessoria del tutto nuova,  imprevedibile
ed estremamente gravosa quale quella della confisca  per  equivalente
per un valore pari a € 6.182.919. 
    Per il  trasgressore  incensurato,  pertanto,  l'applicazione  ai
fatti pregressi della nuova ipotesi della  confisca  per  equivalente
determina un trattamento sanzionatorio per  l'illecito  depenalizzato
complessivamente piu' sfavorevole. 
    7.5. - Questa valutazione trova conferma nel  trattamento  penale
applicato al concorrente nel reato, Emilio Gnutti, insider  primario,
il quale ha riferito la notizia privilegiata all'odierno ricorrente. 
    Come risulta  dalla  documentazione  prodotta  dalla  difesa  del
ricorrente - produzione ammissibile in quanto rilevante ai fini della
individuazione in concreto del trattamento piu' favorevole -,  Gnutti
e' stato condannato con sentenza  del  Tribunale  di  Milano  del  25
ottobre 2006 alla pena della reclusione di sei mesi e al pagamento di
€ 100.000 di multa  con  pena  sospesa.  Questa  pronuncia  e'  stata
parzialmente riformata dalla  Corte  d'appello  di  Milano  che,  con
sentenza pronunciata in data  12  novembre  2007  sull'accordo  delle
parti, ritenuta la continuazione tra i fatti oggetto del  giudizio  e
altri reati giudicati con pregressa sentenza della Corte d'appello di
Brescia irrevocabile dal 10 luglio  2006,  ha  rideteminato  la  pena
complessiva a suo carico  in  €  140.520  di  multa,  ferma  la  pena
accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici  e  dagli
uffici direttivi delle persone  giuridiche  e  della  incapacita'  di
contrattare con la pubblica amministrazione per un anno e  due  mesi.
La pena e' stata calcolata partendo da una pena base di mesi  sei  di
reclusione - reclusione convertita, ai sensi dell'art.  53  legge  n.
689 del 1981, in 6.840 euro di multa e aumentata fino  ad  €  20.520,
pari al triplo della pena convertita ex artt. 133-bis cod. pen.,  53,
secondo comma, della legge n. 689 del 1981 e 180,  comma  4,  decreto
legislativo n. 58 del 1998 - ed € 120.000 di multa. 
    La stessa Corte d'appello, successivamente, in sede di  incidente
di esecuzione, ha ridotto la suddetta pena a 10.000 euro di multa, in
applicazione dell'indulto di cui alla legge n. 241 del 2006. 
    Pertanto,    il     complessivo     trattamento     sanzionatorio
dell'originario  concorrente  nel  reato,  Emilio   Gnutti,   si   e'
concretizzato nella complessiva multa di € 10.000, nonostante  questi
fosse  l'insider  primario,  la   cui   condotta   doveva   ritenersi
necessariamente  piu'  grave  di  quella  del  ricorrente,  tanto  da
continuare ad essere penalmente rilevante. 
    La Consob,  invece,  all'esito  del  procedimento  sanzionatorio,
ritenuta sussistente  la  violazione  di  cui  all'art.  187-bis  del
decreto legislativo n. 58 del 1998, ha  applicato  al  ricorrente  la
sanzione  amministrativa  pecuniaria  di  €  885.606,   la   sanzione
accessoria dell'interdizione degli uffici direttivi per un periodo di
nove mesi ex art. 187-quater del decreto legislativo n. 58 del  1998,
nonche', ai sensi  dell'art.  187-sexies  del  medesimo  decreto,  la
confisca per equivalente di beni di sua proprieta' per un valore di €
6.182.919. 
    8. - A parere di questo collegio cio' che risulta determinante ai
fini  della   valutazione   di   maggiore   gravosita'   e'   proprio
l'applicazione retroattiva della sanzione accessoria  della  confisca
per equivalente ex art. 186-sexies  decreto  legislativo  n.  58  del
1998, sanzione non  prevista  e  non  prevedibile  al  momento  della
consumazione dell'illecito. 
    Tale   sanzione   accessoria,   infatti,   determina   una   tale
sproporzione nella pena complessivamente inflitta, rispetto a  quella
che sarebbe scaturita  dall'applicazione  del  citato  art.  180  del
decreto legislativo n. 58 del 1998, da rappresentare  l'elemento  che
rende in concreto maggiormente afflittivo il complessivo  trattamento
sanzionatorio derivante dalla legge di depenalizzazione. 
    In  altri  termini,  il  dubbio  di  legittimita'  costituzionale
risiede nel fatto che la previsione  dell'applicabilita'  -  in  modo
incondizionato, inderogabile e non graduabile -  della  confisca  per
equivalente rende il  complessivo  risultato  sanzionatorio  previsto
dalla riforma, in concreto, meno favorevole per il trasgressore. 
    A parere del Collegio, una volta eliminata  l'applicazione  della
confisca per equivalente ai fatti antecedenti la sua introduzione, il
trattamento sanzionatorio amministrativo  (anche  se  nella  sostanza
penale) che residua, riacquista quella valenza complessiva di maggior
favore naturalmente correlata alle sanzioni amministrative rispetto a
quelle corrispondenti penali. 
    Il Collegio non ritiene, infatti, di poter condividere l'assunto,
prospettato nella memoria e nella discussione orale della  difesa  di
parte  ricorrente,  secondo  cui  dovrebbe  attribuirsi   valore   di
principio  generale,   immanente   alla   disciplina   di   qualunque
depenalizzazione, alla disposizione recata dall'art. 8, comma 3,  del
decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 (il quale recita: «Ai fatti
commessi prima della data di entrata in vigore del  presente  decreto
non puo' essere applicata una sanzione amministrativa pecuniaria  per
un importo superiore al massimo della pena  originariamente  inflitta
per il reato, tenuto conto del criterio di ragguaglio di cui all'art.
135 del codice penale. A tali fatti  non  si  applicano  le  sanzioni
amministrative accessorie introdotte dal presente decreto, salvo  che
le stesse sostituiscano corrispondenti pene accessorie.»). 
    Al riguardo il Collegio osserva  che  non  vi  sono  ragioni  per
ritenere che tale disposizione - che detta la disciplina  transitoria
della depenalizzazione recata dal decreto legislativo n. 8 del 2016 -
esprima un principio  di  carattere  generale  idoneo  a  fungere  da
tertium comparationis nel vaglio di legittimita' costituzionale delle
difformi discipline transitorie dettate da altre, e precedenti, leggi
di depenalizzazione. 
    Cio' posto, va considerato che la comparazione  tra  la  sanzione
penale e quella amministrativa non puo'  risolversi  in  una  stretta
equiparazione quantitativa, in  quanto  la  sanzione  penale  ha  una
pluralita' di effetti negativi, incidendo  con  forza  peculiare  non
soltanto sulla liberta', ma anche sul  complessivo  profilo  pubblico
della persona, segnandolo  con  lo  «stigma»  del  disvalore  sociale
derivante da una sentenza  di  condanna  del  giudice  penale  (basti
pensare   al   rilievo,   anche   pratico,   della   condizione    di
incensuratezza). 
    Nel caso dell'insider  secondario,  dunque,  la  sanzione  penale
risulterebbe   in   concreto   meno   favorevole    della    sanzione
amministrativa pecuniaria, pur quantitativamente  piu'  elevata,  ove
quest'ultima  non  risultasse  accompagnata  anche   dalla   sanzione
accessoria della confisca per equivalente. 
    9.  -   Di   qui   la   sollevata   questione   di   legittimita'
costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma,  117,
primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 7 della  CEDU,
dell'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del 2005, nella parte in  cui
prescrive  l'applicazione  della  confisca  di  valore  e  assoggetta
pertanto il trasgressore a  una  sanzione  penale  in  concreto  piu'
gravosa di quella che sarebbe applicabile in base alla legge  vigente
all'epoca della commissione del fatto. 
    Ad avviso del Collegio,  il  contrasto  con  l'art.  3  Cost.  si
profila in riferimento al principio di ragionevolezza, per eccesso di
contenuto sanzionatorio  rispetto  allo  scopo  della  retroattivita'
della  nuova  disciplina  sanzionatoria,  che  era  di  evitare   che
rimanessero impunite, nella fase transitoria della  depenalizzazione,
condotte comunque illecite, laddove l'aggiunta  della  retroattivita'
della  confisca   per   equivalente   costituisce   un   aggravamento
sproporzionato non destinato a trovare la propria giustificazione nel
riempimento del vuoto punitivo. 
    Secondo questo giudice  a  quo,  la  norma  denunciata  contrasta
inoltre con l'art. 25, secondo  comma,  Cost.  Infatti,  in  base  al
precetto costituzionale, ogni intervento sanzionatorio e' applicabile
soltanto se la legge che lo prevede risulti gia' vigente  al  momento
della commissione del fatto sanzionato.  Invece,  il  legislatore  ha
imposto di applicare retroattivamente  la  confisca  per  equivalente
solo  perche'  si  riferisce   a   un   illecito   qualificato   come
amministrativo   nell'ordinamento   interno,   mentre,   nel   regime
transitorio, avrebbe potuto consentirne l'applicazione  -  versandosi
in un'ipotesi di depenalizzazione accompagnata  dall'introduzione  di
un corrispondente illecito amministrativo -  soltanto  ove  la  nuova
sanzione completi un trattamento  sanzionatorio  nel  complesso  piu'
mite della pena prevista per l'originario reato. 
    Infine, il dubbio  di  non  manifesta  infondatezza  sussiste  in
riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 7
della convenzione  europea,  perche'  la  norma  censurata  prescrive
l'applicazione retroattiva della confisca per  equivalente  -  «pena»
secondo la CEDU, e quindi ricompresa nel nucleo delle garanzie che la
convenzione riconosce all'individuo in materia penale - anche qualora
il   complessivo    trattamento    sanzionatorio    per    l'illecito
amministrativo  sia  meno  favorevole  in  concreto  del   precedente
trattamento sanzionatorio applicabile al reato. 
    10.  -  La  questione  sollevata  e'  rilevante  ai  fini   della
definizione del ricorso per cassazione. 
    10.1. - Innanzitutto perche' l'impugnato art. 9, comma  6,  della
n. 62 del 2005 e' la norma applicabile  nel  processo.  I  motivi  di
ricorso per cassazione  investono,  infatti,  anche  la  legittimita'
dell'applicazione retroattiva della confisca per  equivalente  ad  un
fatto di abuso di informazioni privilegiate commesso nel 2002, ed  e'
appunto la norma censurata a prevedere l'applicazione di tale  misura
anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata  in
vigore della legge di depenalizzazione. 
    10.2. - In secondo  luogo  perche'  dall'esito  del  giudizio  di
costituzionalita' dipende la sorte di alcuni dei motivi  del  ricorso
per cassazione. 
    10.3. - Infine - sempre sul piano della rilevanza -  il  Collegio
evidenzia  che  la  questione  relativa   alla   legittimita'   della
applicazione della confisca presenta  il  requisito  dell'attualita',
non essendo superata dal deposito, ai sensi dell'art. 372 cod.  proc.
civ., della sentenza con la quale il GUP del Tribunale di Bologna  ha
dichiarato non luogo a procedere nei confronti di Giovanni Consorte e
di Ivano Sacchetti in ordine al reato loro ascritto per il  reato  di
abuso di informazioni privilegiate nell'ambito della  stessa  vicenda
del prestito obbligazionario UNIPOL, perche' il fatto non sussiste. 
    Occorre  premettere  che  il  ricorrente  sostiene   bensi'   che
l'avvenuta assoluzione dei due imputati perche' il fatto non sussiste
comporterebbe  il  venir   meno   dell'elemento   costitutivo   della
fattispecie, consistente nella informazione privilegiata  e,  poiche'
l'informazione  in   questione   sarebbe   la   stessa   oggetto   di
contestazione  nel   presente   giudizio   a   titolo   di   illecito
amministrativo, ritiene che, per effetto del principio dell'efficacia
riflessa del giudicato, dovrebbe  pervenirsi  alla  cassazione  della
sentenza impugnata per insussistenza dell'illecito. 
    Sennonche',  tale  assunto  non  e'  condivisibile  per   diverse
ragioni. 
    In primo luogo osta alla configurabilita'  stessa  dell'efficacia
riflessa della sentenza emessa in un giudizio penale, la disposizione
di cui all'art. 187-duodecies del decreto legislativo n. 58 del 1998,
a norma del quale «il procedimento amministrativo di  accertamento  e
il procedimento  di  opposizione  di  cui  all'art.  187-septies  non
possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente
ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento  dipende  la
relativa definizione». Premesso che non rilevano,  nella  specie,  le
problematiche concernenti la possibilita' della applicazione  di  una
doppia sanzione - amministrativa e penale - per il medesimo  fatto  a
carico del medesimo soggetto, la richiamata  disposizione  stabilisce
un  regime  di  assoluta  autonomia   tra   procedimento   penale   e
procedimento sanzionatorio amministrativo, sicche' risulta esclusa la
possibilita' stessa di far  valere  nel  procedimento  amministrativo
l'efficacia della pronuncia adottata in sede penale; senza dire  che,
nel  caso  di  specie,  non  ricorre  neanche   una   situazione   di
opponibilita' a Consob della pronuncia adottata  in  sede  penale  in
considerazione del fatto che Consob non risulta essere stata parte di
quel procedimento. 
    Osta,  inoltre,  alla  esplicazione  di  qualsivoglia   efficacia
dell'invocato giudicato nel  presente  giudizio  il  rilievo  che  le
condotte contestate in sede penale,  lungi  dall'essere  identiche  a
quelle oggetto della contestazione della  Consob,  sono  diverse,  in
ragione  delle  qualita'  soggettive  rivestite  dagli  imputati  nel
processo penale e dal ricorrente nel presente giudizio. 
    Infine, la sussistenza dell'illecito deve, nel presente giudizio,
ritenersi coperta dal  giudicato.  Invero,  nessuno  dei  motivi  del
ricorso principale contesta  l'accertamento  in  fatto  svolto  dalla
Corte d'appello e la conclusione alla quale essa e'  pervenuta  circa
la natura privilegiata delle informazioni utilizzate. Il  ricorrente,
invero, ha posto in discussione esclusivamente  i  profili  attinenti
all'aspetto  sanzionatorio,  dubitando   della   legittimita'   delle
sanzioni irrogategli.